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RECENSIONE: OSCAR WILDE - L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNEST


Come tutte le opere di Wilde anche qui troviamo il suo classico humour e un complicato intreccio. Ho letto per la prima volta “L’importanza di chiamarsi Ernest” alle superiori, ma è sempre un piacere rileggere questa commedia. È credo il lavoro di Oscar Wilde che apprezzo di più, assieme a “Un marito ideale” (“Il ritratto di Dorian Gray” è bello ma un po’ cupo). Lo scrittore mi piace in generale per il suo stile e per la sua ironia e lo trovo uno dei “classici” più attuali che ci siano. A parte le noiose lezioni del liceo sui vari scrittori, questo in particolare mi ha appassionato, tanto da farmi comprare quasi tutti i suoi libri (credo me ne manchino un paio). Tornando però a “L’importanza di chiamarsi Ernest” vorrei fare un’anticipazione per chi non l’ha mai letto. Fare una traduzione perfetta, si sa, è sempre complicato, ma in questo caso quasi impossibile: Ernest in inglese suona come earnest (trad. “serio, a modo”), quindi in italiano non è possibile rendere il gioco di parole, alcuni l’hanno tradotto con “L’importanza di essere onesto” mantenendo il nome Ernest all’interno del libro e spiegandone la scelta. Tutta la pièce gira intorno a questo gioco di parole, infatti i due protagonisti, due scapoli aristocratici, sfrutteranno questo nome per conquistare ciascuno la donna che amano. Wilde infatti, sbeffeggiando l’apparenza e gli atteggiamenti dell’alta società vittoriana, vuole dimostrare come le persone siano più bendisposte verso qualcuno se porta un nome, come in questo caso, evocativo di onestà e di buoni principi morali.

Ernest Worthing è amico di lunga data di Algernon Moncrieff sebbene questo scopra solo all’inizio del libro che in realtà il suo vero nome è Jack. Con Cecily, di cui è tutore, finge di avere un fratello con quel nome e contemporaneamente di conquistare Gwendolen, la cugina di Algernon. L’amico deciderà di sfruttare il nome di Ernest facendosi passare per il fratello di Jack per far sì che Cecily s’innamori di lui. La commedia è un susseguirsi di scene divertenti in cui i protagonisti giocano con la propria identità che sarà causa naturalmente di fraintendimenti, magistralmente elaborati da Wilde con un finale a sorpresa. La parte più interessante del libro è, a parte gli aforismi wildiani che tanto adoro, quando lo scrittore, attraverso la bocca dei personaggi prende in giro la società del tempo che tra l’altro lui stesso frequenta. Anche se più volte i personaggi fanno intendere che l’uno o l’altro dei protagonisti abbiano “la faccia da Ernest”, quello che conta in realtà è la sostanza non l’apparenza. Se vogliamo, anche nella nostra società contemporanea quello a cui si tiene maggiormente è l’apparenza, che sia estetica o morale. L’essenza dell’uomo alla fine è sempre la stessa che sia un’epoca o un’altra e spesso purtroppo non importa chi sei, ma chi mostri di essere.


“Mi hai sempre detto che ti chiamavi Ernest. Ti ho presentato a tutti come Ernest. Rispondi al nome di Ernest. Hai perfino la faccia da Ernest. Sei la persona più tipo-Ernest che abbia mai visto in vita mia. È assolutamente assurdo che tu dica di non chiamarti Ernest. L’hai scritto perfino sui biglietti da visita.”

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